DE HONESTA VOLUPTADE ET VALITUDINE DI BARTOLOMEO SACCHI

La filosofia del cibo, come piacere misurato e salutare.

L’allievo non ha superato il maestro, ma ha contribuito a diffonderne le nozioni culinarie. Come? Traducendole in una vera a propria dottrina.

L’autore

Bartolomeo Sacchi (1421-1481), soprannominato “Platina” perché originario di Piadena (Mantova), è uno dei grandi nomi dell’umanesimo italiano.

Nominato da Papa Sisto IV primo direttore della Biblioteca Vaticana (l’umanista è rappresentato nell’affresco di Melozzo da Forlì, oggi nei Musei Vaticani), ha l’occasione di conoscere, negli anni Sessanta del Quattrocento, Maestro Martino da Como, cuoco personale del Patriarca di Aquileia a Roma, e nutre fin da subito una grande stima verso di lui.

Nel suo trattato De honesta voluptate et valetudine (Il piacere onesto e la buona salute), il Platina scrive: “Quale cuoco, o dèi mortali, può essere paragonato al mio Martino da Como, dal quale ho imparato la maggior parte delle cose che vado scrivendo?”.

In effetti, il debito del Platina verso il cuoco ticinese è, in quest’opera, tutt’altro che irrisorio: dei 250 piatti proposti dal VI al X libro – la parte del testo che l’autore dedica alle ricette – ben 240 devono la propria paternità a Maestro Martino che, a quei tempi, non ha ancora dato alle stampe il suo Libro de arte coquinaria (Libro di arte culinaria), composto intorno al 1450, ma pubblicato nel 1480.

L’opera

Il De honesta voluptate et valetudine, primo fra i libri di cucina divulgati a stampa in Italia, è edito la prima volta a Roma in lingua latina nel 1474, poi a Venezia nel 1487 in italiano e, quindi, in tutta Europa, tradotto in francese, tedesco e inglese.

A Emilio Faccioli si deve la prima traduzione italiana moderna del testo, pubblicato da Einaudi, nel 1985 (allo stesso curatore, va ascritta anche la prima trascrizione moderna di Maestro Martino, pubblicata sempre da Einaudi nel 1987).

A cosa va attribuito il grande successo dell’opera del Platina? Di certo, alla novità dell’impostazione. Ma anche alla trattazione sistematica intorno all’arte della cucina, alla dietetica (connessa all’utilità della regolare attività fisica), all’igiene alimentare, all’etica dell’alimentazione e ai piaceri della tavola, secondo un’alternanza di prescrizioni di carattere operativo e di natura morale intorno al cibo e all’atto del nutrirsi.

Il Platina, riallacciandosi al pensiero medico e filosofico della classicità, prospetta un umanesimo integrale che comprenda anche il piacere “onesto”, cioè misurato, del cibo, fra i legittimi componenti dell’equilibrio esistenziale di una persona. La “continenza nel vitto – afferma – conduce alla felicità, così come la medicina restituisce la salute all’ammalato”. Insomma: il cibo non è peccato, se non si esagera.

Le ricette proposte registrano, come nel già citato libro di Martino da Como, l’affermarsi nella cucina italiana del gusto dolce e dello zucchero, la “nuova spezia” che, dal Trecento, tende ad affiancarsi o sovrapporsi a quelle tradizionali. E seguono i principi della medicina galenica, secondo la quale i cibi devono ristabilire l’equilibrio tra gli elementi primari costituenti l’organismo umano, e cioè aria, fuoco, acqua e terra, con le rispettive qualità di freddo, caldo, fluido e solido.

Va qui ricordata un’altra preziosa fonte di conoscenza sulla vita quotidiana e la cucina nel XV secolo: il trattato De partibus aedium (Le parti della casa).

Redatto dall’umanista parmigiano Francesco Maria Grapaldo (1465-1515), pubblicato a Parma per la prima volta nel 1464 e oggetto di ben tredici edizioni fino alla metà del Cinquecento, il testo spazia dall’architettura alla meccanica, dalla medicina alla botanica, alla zoologia, all’economia domestica.

Il volume offre, nel descrivere la dimora nobiliare del Rinascimento, alcune informazioni sulla configurazione della cucina, della dispensa (con annotazioni su formaggio, burro, zucchero, sale, spezie, carni di maiale), della cantina (con digressioni sui vini), del granaio, dell’orto, della vigna, del pollaio, della stalla, degli stabili per gli animali.

Perché leggerla

Insieme con il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino, il volume di Bartolomeo Sacchi è una delle colonne portanti della letteratura gastronomica del Quattrocento. Una summa del sapere culinario del secondo Quattrocento.

Il repertorio delle ricette non è né inedito né diverso da quelli precedenti. L’opera, che è più un trattato sul potere nutritivo e curativo degli alimenti che un libro di cucina, è importante perché suggerisce l’istituzione di un nuovo must: quello per la frugalità. E lo fa in un momento storico in cui le classi medio-alte, alle quali il testo si rivolge, pur amando ancora sfoggiare tavole imbandite con ogni bendiddio, sono intellettualmente ed eticamente pronte a considerare la sobrietà come un valore. A tavola come nella vita.

La moderazione nell’atto alimentare è un tema di grande attualità. Sia per l’impatto che molti prodotti hanno sull’ambiente e il pianeta, sia per l’attenzione al benessere del corpo e della mente che solo una dieta equilibrata può garantire. Perché, allora, non prendere ispirazione dalle concezioni gastronomiche del Platina?

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