La prima volta a tavola di un movimento artistico.
Il primo a mettere in tavola l’arte è il poeta francese Guillaume Apollinaire (1880-1918) che, nel 1913, espone sulla rivista “Fantasio” le sue idee sul “cubismo culinario” (ribattezzato tre anni più tardi “gastroastronomismo”). Ma rimane una provocazione senza seguito.
È quando scendono in campo i Futuristi italiani, che il gioco si fa serio.
Gli autori
Nel Manifesto della Cucina Futurista, pubblicato il 28 dicembre 1930 sulla torinese “Gazzetta del Popolo”, Filippo Tommaso Marinetti (1876–1944), riprendendo le teorie dello chef francese Jules Maincave, codifica la filosofia “aerea”, che gli apostoli del movimento vanno predicando in ogni campo dell’arte e della scienza, anche in ambito gastronomico.
L’obiettivo? Rivoluzionare da cima a fondo i valori della tradizione “per inventare ad ogni costo un nuovo, giudicato da tutti pazzesco”. E i Futuristi, a valutare dalla loro proposta di una cucina originale, audace e innovativa, ci riescono.
Prospettano l’abolizione della pastasciutta, “assurda religione gastronomica italiana”, considerata nemica della velocità e della modernità, ma anche del “quotidianismo mediocrista”, per far posto alla chimica e all’arte, nel definire i bisogni e le gioie del palato. E bandiscono perfino le posate, per recuperare “il piacere tattile prelabiale”.
Inventano nuove forme che mettono appetito agli occhi, arrivano a presentare vivande da non mangiare, per favorire l’immaginazione e il desiderio, accompagnano i piatti con musiche, poesie e profumi. Creano bocconi “che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi” e “complessi plastici saporiti colorati profumati e tattili” per veri “pranzi simultanei”.
E non mancano memorabili applicazioni di queste ardite teorie, come il pranzo futurista imbandito l’8 marzo 1931, alla Taverna del Santopalato di Torino, di cui si dà conto nel volume La cucina futurista, curato dallo stesso Marinetti e da Luigi Colombo, in arte Fillìa (1904–1936).
Pubblicato nel 1932 a Milano, per i tipi di Sonzogno, è corredato da foto e disegni per la composizione dei piatti.
L’opera
La cucina futurista mira a “nuove soluzioni attraverso l’armonia dei sapori e colori delle vivande, l’invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra”. E lo fa con varie ricette, dal Carneaplastico, creazione del pittore Fillìa, a Equatore-Polo Nord di Enrico Prampolini, alle aerovivande.
La querelle sulla cucina proposta dai Futuristi, che tiene banco a lungo sui giornali italiani, già in seguito alla pubblicazione del manifesto sul quotidiano parigino “Comoedia”, divampa in Francia e, da lì, rimbalza sulla stampa tedesca, a suon di articoli, commenti e caricature, e anche sul “Times” di Londra che torna ripetutamente sull’argomento, è più letteraria che reale.
Le innovazioni, in realtà, sono più formali che sostanziali, per esempio quando il Futurismo riprende concetti propri della cucina rinascimentale o – con l’accostamento dolce-salato – addirittura medievale.
Si tratta, dunque, di un fenomeno quantitativamente limitato e più culturale che gastronomico. Ma risulta interessante che i Futuristi diano valore a tutti i cinque sensi, non solo al gusto, e tentino una commistione della cucina con varie discipline artistiche, che portano a “ridisegnare” i piatti in forme decisamente nuove, di cui la cucina contemporanea è ancora debitrice.
Perché leggerla
Il provocatorio ricettario di Marinetti e Fillìa rimane un’isola, nel panorama dell’editoria gastronomica italiana, un unicum nel suo genere, ed è di grande interesse storico – e sarà ciò che decreterà la fortuna critica del volume – il fatto che, per la prima volta, un movimento artistico decida di inglobare anche la cucina nelle varie forme d’arte che intende sovvertire e ridefinire (pittura, scultura, architettura, letteratura, fotografia, cinema, design, moda, musica, teatro, danza…).
Sotto l’aspetto sostanziale, la previsione di Marinetti, per il quale “questa nostra cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità, sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti, pazzesca e pericolosa: essa invece vuole finalmente creare un’armonia tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani”, non si è certo realizzata. L’uomo d’oggi pare cercare quest’armonia più nei rassicuranti prodotti della tradizione gastronomica regionale italiana che in dinamiche e irriverenti innovazioni.
La rivoluzione che il Futurismo compie in cucina è sul piano estetico. A cominciare dalla lingua, nel tentativo autarchico di tradurre in italiano i termini stranieri: così, il cocktail diventa la polibibita (che si può ordinare al quisibeve e non al bar), il sandwich prende il nome di traidue, il dessert di peralzarsi e il picnic di pranzoalsole.
Soprattutto, è l’aspetto esteriore delle pietanze che riceve una scossa. Il pollo arrosto, per esempio, diventa un frullato. E molti piatti – come Percazzottare e Ortocubo – mirano a ottenere, con l’impiattamento, un aspetto grafico che forse supera di gran lunga la loro bontà. Vi siete mai ispirati a un movimento artistico, nel presentare una ricetta ai vostri ospiti? Potrebbe essere un’idea insolita e apprezzata. Perché non provate?
