Il più grande trattato di cucina del Cinquecento.
Il capolavoro di Bartolomeo Scappi sta alla cucina come Michelangelo alle Belle Arti. Lo ha scritto la storica della gastronomia Anna Willan. Di certo, la sua Opera è un esempio della lineare eleganza del Rinascimento, grazie anche a disegni vivaci e scrupolosamente esatti e un testo esauriente e ricco di particolari.
L’autore
Anche se alcuni studiosi sostengono che Scappi (inizi XVI sec. – post 1570) sia originario di Bologna e altri di Venezia, sembra certo che sia nato a Dumenza, in provincia di Varese, come testimoniato da una lapide nella Chiesa di San Giorgio, che si riferisce a un suo lascito per messe perpetue, un tipo di donazione che viene sempre fatta a un tempio del luogo di origine.
Dopo aver servito alla corte di alcuni cardinali, Scappi lavora per il Papa: prima Pio IV e, quindi, Pio V, del quale diviene cuoco personale.
All’apice della carriera, pubblica il più grande trattato di cucina del Cinquecento, che include oltre mille ricette e tratta tutti gli argomenti che un cuoco rinascimentale di alto livello deve conoscere.
L’opera
L’Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di Papa Pio V. Divisa in sei libri viene pubblicata a Roma nel 1570 dall’editore Michele Tramezzino e diventa ben presto un meritato successo editoriale, poiché viene ristampata regolarmente fino al 1643.
È, di gran lunga, il più completo e sistematico dei trattati di cucina del suo secolo. Il più attento e preciso nel fornire indicazioni sui metodi di preparazione e di cottura dei cibi.
Ma è più di un’enciclopedia del sapere gastronomico. È una summa, un sistema globale di informazioni dal quale lo scalco o qualsiasi altro ufficiale di cucina può attingere le regole pratiche per operare con profitto, insieme con le ragioni che sono connaturate alla prassi. Un sapere, quindi, che nasce da un saper fare coniugato a un saper essere.
Il manuale tratta degli alimenti e della loro conservazione, dell’allestimento dei banchetti, dell’ambiente della cucina, che deve essere pulito e in ordine, degli utensili e delle attrezzature da utilizzare, delle diete per persone ammalate e convalescenti, delle ricette, dell’attività dello scalco, del servizio di tavola e del trinciante.
Occorre aprire una parentesi e ricordare che è proprio a metà del Cinquecento che assistiamo alla “scomparsa” del cuoco nella letteratura gastronomica, soppiantato da tre nuove figure professionali che escono dalla mensa del principe e alle quali viene dedicata una serie di libri specifici: lo scalco, che è il maestro di cerimonia, il trinciante, incaricato di tagliare al volo le vivande, carni soprattutto, tenendole a mezz’aria in modo decisamente spettacolare nella sala stessa del banchetto, di fronte alla tavola imbandita, e il Bottigliere, colui che sceglie i vini (l’attuale sommelier).
Il volume di Scappi è arricchito da un vasto apparato illustrativo che completa e integra, in maniera documentaria e non solo decorativa, il testo, così da restituire la rappresentazione di un intero mondo e delle norme che lo regolano.
Soltanto dei vini, Scappi non fa cenno nel suo trattato. La lacuna però, viene adeguatamente colmata, nello stesso periodo, dal Lancerio, dal Taegio e dal Bacci.
Delle tre opere, la più vivace e colorita è la lettera Della qualità dei vini indirizzata al cardinale Guido Ascanio Sforza da Sante Lancerio (XVI sec.), bottigliere di Papa Paolo III Farnese (pubblicata a Roma da Giuseppe Ferraro solo nel 1876), che traduce una lunga e ponderata esperienza alla Corte pontificia, in un memoriale d’impressioni gustative che può essere considerato, a buon diritto, l’incunabolo della letteratura enologica italiana.
Perché leggerla
Il volume di Scappi è un testo fondativo poiché crea una tassonomia della cucina.
Molti gli elementi che lo rendono un monumento culinario, il cui valore va ben oltre il Rinascimento. Per esempio, si ha la prima raffigurazione conosciuta di una forchetta e vengono introdotti nuovi metodi di preparazione e fornite soluzioni tecnico-pratiche che sono ancora in auge tra i moderni operatori della ristorazione. Un esempio? L’infarinatura, l’impanatura e la sigillatura delle carni bianche e rosse prima della cottura.
Inoltre, il trattato suggerisce l’utilizzo dei primi ingredienti importati dalle Americhe per realizzare pietanze originali, in grado di valorizzarli, e anticipa molte caratteristiche di quella che diventerà la cucina italiana moderna. Come? Includendo numerose ricette di pasta, tante delle quali insaporite dal Parmigiano, definito da Scappi “il miglior formaggio al mondo”, di torte, crostate e preparazioni dolci a base di pasta sfoglia e pasta frolla, e tanti piatti freddi, come le sfogliate ripiene alle salsicce.
Nella sua Opera, il celebre cuoco si rivela un precursore, sotto parecchi punti di vista. Non si limita a semplici stufati e bolliti, ma applica tecniche più raffinate come la marinata, farcisce torte salate con carciofi, piselli o altre verdure e legumi, e riempie i dolci con ricotta o formaggio tenero. Molti suoi piatti sono alla lombarda, alla toscana o alla bolognese, non disdegnando le cucine straniere.
Quali sono le note innovative della vostra cucina? Siete mai stati degli antesignani, dal punto di vista gastronomico?