Panelle di fave
- 1 kg di fave
- acqua q.b.
- sale q.b.
- ½ cipolla tagliata a grosse fette
- finocchio selvatico q.b.
- olio extravergine di oliva q.b.
- olio per friggere q.b.
- peperoncino (facoltativo) q.b.
Lasciate a mollo le fave secche sbucciate in una ciotola piena d’acqua fredda per una notte.
Il mattino seguente fatele cuocere per un paio d’ore, o comunque fino a quando non saranno ridotte in purea, in una pentola piena d’acqua bollente salata con la cipolla tagliata a grosse fette e qualche ciuffetto di finocchio selvatico. Quindi scolatele, passatele al setaccio e disponete l’impasto così ottenuto su una superficie piana ben oleata.
Con il matterello spianate la purea di fave in una sfoglia spessa circa 2 centimetri, quindi fatela raffreddare e, dopodichè, tagliatelo a strisce.
Fate quindi cuocere le “panelle” così ottenute in una padella piena d’olio bollente in modo che questo le sommerga totalmente.
Rigiratele in modo da farle dorare in modo uniforme, quindi, con l’aiuto di un mestolo forato, scolatele, adagiatele su un foglio di carta da cucina e servitele calde eventualmente spolverate con del peperoncino.
Storie nel piatto
Il ritrovamento, in Israele, di reperti archeologici che attestano come il consumo di fave fosse diffuso in quei luoghi oltre ottomila anni fa, testimonia come questo legume faccia parte sin da tempi antichissimi della dieta delle popolazioni mediterranee.
Nell’antichità, infatti, le fave furono per lungo tempo uno dei legumi più diffusi tra le popolazioni europee.
Non è quindi un caso che diversi autori antichi abbiano accennato alle fave nei loro scritti: il greco Aristofane, ad esempio, le consigliava come cibo fortemente afrodisiaco, mentre il latino Varrone, nel suo De Rustica, affermava che queste fossero uno degli alimenti più consumati dalla popolazione di Roma assieme al farro e all’orzo.
Rimaste uno degli alimenti principi della dieta contadina fino alla fine del Medioevo, le fave dovettero però cedere il passo alle varietà di fagioli provenienti dalle Americhe che portarono ad una forte diminuzione del consumo di questi verdi legumi che rimasero da quel momento relegati principalmente a piatti delle tradizioni regionali contadine.
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